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Andrea Giordano / Film Up
Süt
Vuoti a perdere


Dopo l’enorme riscontro da parte della critica per Yumurta (Uova) dell’anno scorso, il regista turco Semih Kaplanoglu continua il suo percorso di esplorazione, affrontando il secondo capitolo della sua cosiddetta "Trilogia di Yusuf", presentando Süt (Latte), pellicola in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2008.

In attesa di girare la prossima estate l’ultima parte, Bal (Miele), fa un passo avanti, presentandoci un personaggio non più adolescente, ma già adulto, maturo.

Il suo racconto si inserisce in una sorta di paesaggio agli antipodi, in una pace che sembra la più "disturbante", dove il protagonista, appunto Yusuf, si confronta questa volta con i dubbi e le fragilità più difficili.

Una madre, che da un lato, a sua insaputa, ritrova l’amore in una relazione clandestina, la riforma al servizio di leva, l’ambizione di scrittore e poeta, che fatica ad emergere in maniera significativa, un lavoro di lattaio occasionale che non lo gratifica. Il tutto si svolge in un’atmosfera di sospensione, che sembra quella di un’intera nazione, alla ricerca di sé stessa e di una propria identità.

A metà quasi tra nuovo e vecchio mondo, Kaplanoglu cerca di indagare la società turca di oggi, con i suoi difetti e le sue mancanze, ma lo fa in maniera forse troppo pretenziosa, costruendo un’opera statica e poco d’impatto.

I lunghi silenzi, le pause di riflessione, i simbolismi (poco inerenti e a tratti incomprensibili), fanno sì che questo lavoro, pregevole per tentativo e messaggio, risulti invece essere noioso e poco descrittivo.

Apprezzabile quello che il regista tenta di mostrarci: la contrapposizione tra lo scenario rurale, dove il protagonista vive, a quello più moderno (dove forse intravedere l’evasione più vicina), ma anche il cambiamento del rapporto madre-figlio, sono realtà di oggi è vero. Quello che non convince, e che fa sì che la pellicola non funzioni, sta nel fatto di limitarsi e di non approfondire, in maniera più incisiva, phpetti che potevano risultare interessanti.

Il volto di Melih Selcuk che ritroviamo sullo schermo, nei panni del giovane protagonista, è interessante certo, ma la sua interpretazione si perde un pò, anche per via di una sceneggiatura che lo limita e che non gli regala quello spazio che forse avrebbe meritato.

Un cinema turco, che tutto sommato però, riesce ad essere presente, anche se in questo caso il risultato non sia dei più convincenti.

La frase: "Non hai portato il latte, non mi fido più di te".